Saladino il sultano di Rabat

– Marocco –

Rabat è la capitale del Marocco, non è una città grande, ci si orienta molto facilmente. In treno si arriva alla fermata di Rabat Ville, si scende e ci si ritrova in una piccola stazione con due binari soltanto. Una scala mobile porta dai binari sotterranei al piano terra, a destra e a sinistra un paio di bar e negozi di operatori telefonici e una biglietteria.

La prima immagine di una città è quella che rimane dentro per sempre perché intessuta di paura, curiosità, eccitazione e solitudine. Rabat, fuori dalla stazione, è grandi palazzi, un incrocio di strade ampie, lunghe e trafficate, ristoranti e negozi. Il primo incontro con una città è un momento unico, però Rabat non te lo lascia vivere. La prima volta che esci dalla stazione di Rabat questo non lo sai ancora: fingi esperienza, maturità e padronanza del posto quando rispondi in malo modo ai taxisti che ti propongono insistentemente un passaggio. Nello stesso istante guardi le altre persone, gli altri viaggiatori e i taxisti e non puoi fare ameno di chiederti: “mi hanno avvicinato perché si sono accorti subito che non so dove sono? Ho l’aria spaesata, indifesa?”, è un pensiero che lascia come un fastidio, una sorta di senso di colpa per essere giovane, donna, ingenua, sola, straniera.

È un istante che passa veloce, il tempo di un “no, merci!”, ma un sotteso senso di inadeguatezza rimane.

Rabat non è la grande metropoli che sembra fuori dalla stazione; a Rabat ci sono quartieri ricchi, commerciali, il palazzo reale, il parlamento, la medina con vie strette e colorate abitata da ricchi stranieri che arriva fino all’oceano.

Rabat è anche periferia. Il quartiere di Hay El-Khoura si trova a cinque minuti in taxi dal capolinea del tram che attraversa la città, ci sono case, un campo da calcio, un mercato, una moschea e baracche, centinaia di pezzi di cartone ammassati in un ribassamento a qualche metro dalla spiaggia.

Saladino vive in un appartamento vuoto al quinto piano di un condominio malandato con finestre senza vetri nel quartiere di Hay El-Khoura. La sua famiglia vive dall’altro lato della strada, sua madre è molto vecchia ma non dice la sua età, suo padre ha più di cento anni. Saladino mi osserva, mentre siamo seduti per terra a mangiare dalla immensa ciotola di cous-cous appena servito da sua madre per tutti i figli e i nipoti che si sono radunati lì il venerdì. Mi guarda mentre provo a imitare gli altri a fare una pallina con il cous-cous facendolo roteare nella mano e mi dice: “voi occidentali avete perso la tradizione, noi siamo poveri ma mangiamo tutti da una stessa ciotola, per terra e con le mani, non come quelli della città”. Il mio mondo era individualista e asettico, troppo moderno per sapere cosa fosse una famiglia.

Saladino ha ventisette anni, a volte studia e a volte lavora; a volte si lamenta della sua povertà, a volte si compra delle scarpe firmate. Saladino non prega, fuma e beve quando può e ha imparato un francese perfetto solo grazie al suo impegno. Il suo sogno è insegnare ai bambini del suo quartiere le lingue straniere, perché possano andarsene anche solo con la forza della conoscenza, vedere altre culture per giudicare la propria. Quando ho conosciuto Saladino, gestiva un’associazione di dopo scuola, venivano tutti i bambini del quartiere, studiavano inglese e francese, e io aiutavo. Saladino non è mai riuscito a tenere insieme la sua associazione, non aveva il coraggio di chiedere i soldi alle famiglie degli iscritti e in questo modo non c’erano fondi per il materiale e per l’appartamento in cui si tenevano le lezioni. Le idee erano tante, erano bellissime e possibili, ma ogni sera il fumo, gli amici e le birre lo aiutavano a cancellare il rimorso di ciò che non si era riusciti a fare durante quel giorno.

Nella periferia di Rabat si mangia per terra in una casa con i tavoli e la cucina e i sogni di un ragazzo terminano nella contraddizione della sua modernità. Nel quartiere di Hay El-Khoura la tradizione è un retaggio da difendere contro la ricchezza delle ville della città e un marchio da scrollarsi per rendere credibile un sogno agli occhi di chi, come me, arriva da un mondo diverso e ha bisogno di conoscere un bravo ragazzo per sentirsi meno straniera.