Le lingue ufficiali del Marocco sono Arabo standard e Amazigh, eppure, quando alla prima lezione di letteratura marocchina viene chiesto agli studenti stranieri quali siano, essi rispondono senza manifestare alcun dubbio: Arabo e Francese.
Circa la metà dei marocchini parla Amazigh, una lingua completamente diversa dall’arabo, che ha radici molto antiche, che risalgono a prima della conquista araba del Marocco. La lingua Amazigh o berbera si conserva nelle zone montuose o isolate e ha diverse varianti a seconda delle zone in cui vene parlata. Dopo la minaccia di una rivolta nel 2011, il re ha saggiamente deciso di accontentare la metà della sua popolazione che non aveva un riconoscimento ufficiale, che era per lo più ignorata a livello amministrativo; l’Amazigh è stato così dichiarato la seconda lingua ufficiale del Marocco.
La restante metà della popolazione marocchina parla una variante dell’arabo standard, un dialetto chiamato Darija. La maggior parte dei marocchini affermerebbe senza remore di parlare arabo, e quando uno straniero preparato chiedesse nello specifico quale tipo di arabo, si troverebbero a dover ammettere che il loro arabo non è altro che una lingua a parte, con la sua grammatica totalmente diversa e il suo lessico ricco di parole di derivazione estranea all’arabo.
Affermare di parlare arabo è una semplificazione, spiegare ad uno straniero che l’arabo non esiste sarebbe troppo complicato. Affermare di parlare arabo con una persona che può crederci è un tentativo di appartenere a un gruppo importante, forse più importante di quello dei marocchini. Sarebbe difficile parlare con un saudita in vacanza vantandosi di essere arabo, quando ogni parola può a lui suonare come un arabo sporco, campagnolo, contadino e barbaro, incomprensibile a chiunque non sia marocchino.
Il darija è solo loro e non può essere di nessun altro, è una lingua che nasce nelle medine e negli harem delle città conquistate, si arricchisce delle parole dei berberi locali e del colto lessico francese e spagnolo e adatta quest’ultimo perché diventi incomprensibile al nemico. Il darija è delle mamme marocchine che cucinano il cous cous il venerdì e restano a casa, ed è dei loro figli piccoli che giocano a calcio nei cantieri il pomeriggio dopo scuola. Il darija non è dello straniero con i pantaloni colorati e i capelli biondi che ha imparato ha chiedere “quanto costa?” al mercato, per lui esiste il francese, con qualche parola di inglese o italiano o spagnolo a seconda dei casi.
Il darija non è scritto se non nei post di facebook, non c’è nei giornali e non c’è nei libri delle biblioteche. Alla televisione parlano darija ma le scritte sono in arabo, a scuola gli insegnanti spiegano la lezione in arabo e richiamano gli studenti all’attenzione, parlando darija.
Alle conferenze, agli incontri ufficiali, alla radio, le lingue si mischiano a seconda del registro da usare. Una notizia importante è in arabo e se scappa una battuta ironica è immediatamente in darija. Se c’è bisogno di dare serietà e eleganza alla frase, si inserisce immediatamente l’avverbio francese.
Il darija è senza riconoscimento e senza dignità, ma è la lingua di una comunità, di una classe sociale ed è un codice segreto per proteggersi dagli invasori.